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L'eredità romanzo sul blog

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sabato 18 giugno 2011

gatto

sabato 27 novembre 2010

IO SONO di Herman Hesse


Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo,
disprezza il mondo e si consuma nel proprio ardore.

Io sono il mare di notte in tempesta
il mare urlante che accumula nuovi peccati
e agli antichi rende mercede.

Sono dal vostro mondo esiliato
di superbia educato,
dalla superbia frodato,
io sono il re senza corona.

Son la passione senza parole
senza pietre del focolare,
senz’arma nella guerra,
è la mia stessa forza che mi ammala.

sabato 13 novembre 2010

lunedì 8 novembre 2010

licenze poetiche


Sono spesso usate dai poeti, per esigenze metriche, ma capita che, a volte, diventino dei vistosi errori che ci vuol proprio molta fantasia per definirle tali.
La più famosa è quella che commise Giosuè Carducci ne Il parlamento, che, ambientata a Milano, si chiude con le parole Il sole /ridea calando dietro il Resegone, cosa questa impossibile per un monte sito a nord-est del capoluogo lombardo.
Carducci fu informato di questo errore, ma non si preoccupò di correggere: sarebbe stato un po' complicato e il finale di quella splendida poesia avrebbe perso mordente.
Or ecco," dice Alberto di Giussano,
"ecco, io non piango più. Venne il dì nostro,
o milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io m’asciugo gli occhi, e a te guardando,
o bel sole di Dio, fo sacramento:
diman da sera i nostri morti avranno
una dolce novella in purgatorio:
e la rechi pur io!" Ma il popol dice:
"Fia meglio i messi imperïali. Il sole
ridea calando dietro il Resegone.

lunedì 1 novembre 2010

NOVEMBRE di Giovanni Pascoli


Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate
fredda, dei morti.

Giovanni Pascoli

lunedì 25 ottobre 2010

LA LEGGENDA DELLE CASTAGNE






CASTAGNE TRE A TRE
Gli abitanti di un piccolo paese sopra il lago erano così poveri che l'unico cibo di cui si potevano nutrire con abbondanza erano le castagne. Intorno al paese infatti c'erano numerosi boschi dove tutti potevano liberamente raccoglierle. Nella loro vita ne avevano mangiate così tante che ormai non riuscivano più a inghiottirle senza provare una sensazione di disgusto: il loro sapore era diventato proprio cattivo. Pregarono allora il parroco di benedire tutti i castagni in modo che i frutti tornassero a essere buoni come una voltae venissero apprezzati da tutti. Il pover'uomo non volle deluderli e si mise a girare per i boschi, seguito da grandie piccini. Ogni volta che s'imbatteva in una pianta, si fermava, la osservava a lungo e pronunciava questa formula magica:

"Castigna, castigna!
Castigna fia la ligna,
castigna fia la fè,
castigna in buca a tre a tre!"

Girò così senza fermarsi per tre giorni e per tre notti fino a quando non ebbe finito e a quelli che lo seguivano venne una fame tale che cominciarono a mangiare le castagne a tre a tre, apprezzandone tutto il sapore.

venerdì 8 ottobre 2010

CASA SUL MARE - Eugenio Montale


ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.

Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.