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sabato 27 novembre 2010

IO SONO di Herman Hesse


Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo,
disprezza il mondo e si consuma nel proprio ardore.

Io sono il mare di notte in tempesta
il mare urlante che accumula nuovi peccati
e agli antichi rende mercede.

Sono dal vostro mondo esiliato
di superbia educato,
dalla superbia frodato,
io sono il re senza corona.

Son la passione senza parole
senza pietre del focolare,
senz’arma nella guerra,
è la mia stessa forza che mi ammala.

sabato 13 novembre 2010

lunedì 8 novembre 2010

licenze poetiche


Sono spesso usate dai poeti, per esigenze metriche, ma capita che, a volte, diventino dei vistosi errori che ci vuol proprio molta fantasia per definirle tali.
La più famosa è quella che commise Giosuè Carducci ne Il parlamento, che, ambientata a Milano, si chiude con le parole Il sole /ridea calando dietro il Resegone, cosa questa impossibile per un monte sito a nord-est del capoluogo lombardo.
Carducci fu informato di questo errore, ma non si preoccupò di correggere: sarebbe stato un po' complicato e il finale di quella splendida poesia avrebbe perso mordente.
Or ecco," dice Alberto di Giussano,
"ecco, io non piango più. Venne il dì nostro,
o milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io m’asciugo gli occhi, e a te guardando,
o bel sole di Dio, fo sacramento:
diman da sera i nostri morti avranno
una dolce novella in purgatorio:
e la rechi pur io!" Ma il popol dice:
"Fia meglio i messi imperïali. Il sole
ridea calando dietro il Resegone.

lunedì 1 novembre 2010

NOVEMBRE di Giovanni Pascoli


Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate
fredda, dei morti.

Giovanni Pascoli

lunedì 25 ottobre 2010

LA LEGGENDA DELLE CASTAGNE






CASTAGNE TRE A TRE
Gli abitanti di un piccolo paese sopra il lago erano così poveri che l'unico cibo di cui si potevano nutrire con abbondanza erano le castagne. Intorno al paese infatti c'erano numerosi boschi dove tutti potevano liberamente raccoglierle. Nella loro vita ne avevano mangiate così tante che ormai non riuscivano più a inghiottirle senza provare una sensazione di disgusto: il loro sapore era diventato proprio cattivo. Pregarono allora il parroco di benedire tutti i castagni in modo che i frutti tornassero a essere buoni come una voltae venissero apprezzati da tutti. Il pover'uomo non volle deluderli e si mise a girare per i boschi, seguito da grandie piccini. Ogni volta che s'imbatteva in una pianta, si fermava, la osservava a lungo e pronunciava questa formula magica:

"Castigna, castigna!
Castigna fia la ligna,
castigna fia la fè,
castigna in buca a tre a tre!"

Girò così senza fermarsi per tre giorni e per tre notti fino a quando non ebbe finito e a quelli che lo seguivano venne una fame tale che cominciarono a mangiare le castagne a tre a tre, apprezzandone tutto il sapore.

venerdì 8 ottobre 2010

CASA SUL MARE - Eugenio Montale


ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.

Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.

sabato 2 ottobre 2010

Modi di dire - ACQUA IN BOCCA



Perchè si dice acqua in bocca?

Si narra che una donnetta, pur essendo fervente cattolica e molto devota alla Vergine, non riuscisse ad evitare di fare della maldicenza, sua occupazione preferita, e questo le causava delle grosse crisi di coscienza. Pregò allora il suo confessore di darle un rimedio contro quel peccato.
Il prete provò dapprima con penitenze e preghiere, ma sempre inutilmente, la donna continuava a ricadere nel vizio. Un bel giorno, non sapendo più a che santo votarsi, diede alla donna una boccetta d'acqua del pozzo raccomandandole di tenerla sempre con sé e quando sentiva la voglia di 'sparlare', di mettere un sorso in bocca tenendolo finché non fosse passata la tentazione. La donna così fece, e ripetendo spesso quel gesto, alla fine si liberò dal vizio, ma non essendo un'aquila in fatto d'intelligenza, si convinse che l'acqua fosse realmente miracolosa.

venerdì 1 ottobre 2010

Ottobre è arrivato...




Ottobre

Un tempo, era d'estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all'autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest'aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulla vigne saccheggiate.

Sole d'autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlti al peggio e la morte nell'anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio,
tornando ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più t'inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch'è tutta una dolcissima agonia.


Vincenzo Cardarelli

sabato 25 settembre 2010

VIAGGIO IN INDIA IN GROPPA...di MARK SHAND


Viaggio in India, in groppa al mio elefante.
Ogni vecchia dimora inglese nasconde tra le sue mura qualche disegno, un dipinto o magari un'incantevole, polverosa illustrazione d'epoca coloniale in cui è possibile contemplare l'intrepido esploratore che si avventura nel fitto della giungla minacciosa, oppure una gigantesca tigre del Bengala nell'atto di avventarsi con le fauci spalancate sui portatori atterriti, o un elefante imbizzarrito che devasta il campo di spedizione. Nel mettere in ordine qualche tempo fa la casa della nonna dopo la sua morte, Mark Shand scovò un disegno simile. Raffigurava un elefante maschio infuriato sul punto di caricare un piccolo mahout indiano. L'incanto fu così grande che Shand accarezzò per la prima volta l'idea di una pacifica passeggiata attraverso l'India in groppa a un elefante. L'idea, tuttavia, sarebbe rimasta nient'altro che un pensiero fugace, se qualche tempo dopo Shand non si fosse ritrovato a sfogliare un libro sull'India. Dalla pagina aperta ammiccava furbescamente un gentiluomo dalle lunghe basette con in capo uno sgargiante cappello piumato, seduto con nonchalance a cavalcioni di un elefante. Si trattava di Tom Coryat, l'eccentrico inglese che nel 1615 aveva raggiunto l'India per via di terra a piedi e, una volta al cospetto del Gran Mogol, aveva solennemente affermato: «Da quando sono arrivato in questa corte cavalco sempre un elefante, sì che ho concepito il proposito di far riprodurre un giorno (col favore di Dio) il mio ritratto, sul mio prossimo libro, in groppa a un elefante». Da quel momento, la prospettiva di vedere riprodotto su un libro il suo ritratto in groppa a un elefante divenne per Shand un'ossessione. Con o senza il favore di Dio, si imbarcò così un giorno per Delhi e, nei pressi di Daspalla, vide e comprò da un gruppo di mendicanti Tara, un'elefantessa che se ne stava addossata con noncuranza a un albero, l'incantevole posteriore squisitamente tornito in piena vista, come una prostituta a un angolo di una strada. Così ebbero inizio le peregrinazioni di Shand nel subcontinente indiano e le sue argute descrizioni di templi, villaggi, usanze che fanno di questo libro un affascinante racconto d'avventura e, al tempo stesso, un tenero romanzo d'amore. Lungo le strade che dal Golfo del Bengala portano a Sonepur, attraverso il Gange, fino al grande bazaar degli elefanti, Mark Shand infatti non soltanto apprende molti segreti dell'India rurale, di Ganesh, l'elefante dio, degli imponenti festival che scandiscono la vita dei villaggi, dell'esistenza di principi e mendicanti, poliziotti e prostitute, santoni e mercanti, ma si imbatte soprattutto in qualcosa di assolutamente inaspettato: nella constatazione che in India un inglese può innamorarsi del suo elefante, se l'elefante ha, come Tara, una personalità dolce, femminile e seducente.


martedì 21 settembre 2010

LE FOGLIE MORTE di Nazim Hikmet


Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

soprattutto se sono ippocastani

soprattutto se passano dei bimbi

soprattutto se il cielo è sereno

soprattutto se ho avuto, quel giorno, una buona notizia

soprattutto se il cuore, quel giorno, non mi fa male

soprattutto se credo, quel giorno, che quella che amo mi ami

soprattutto se quel giorno mi sento d'accordo con gli uomini e con me stesso

veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

dei viali d'ippocastani.


Nazim Hikmet

sabato 18 settembre 2010

AUTUNNO di VINCENZO CARDARELLI


Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

mercoledì 15 settembre 2010

LA CITTÀ DELLE ROSE - DALIA SOFER


DETTAGLI DEL LIBRO

Titolo: LA CITTÀ DELLE ROSE
Autore: DALIA SOFER
Traduttore: CATERINA LENZI
Editore: PIEMME
Data di Pubblicazione: 2008
ISBN-13: 9788838486906
Pagine: 318

LA TRAMA:
Un libro molto crudo, che parla ancora una volta degli orrori della guerra, della crudeltà di capi che usano la religione e anche assurde motivazioni per sfogare il loro odio, e giustificare quanto di più orribile può perpretarare un essere umano contro il suo simile, divenuto, improvvisamente, per un capriccio del destino “il nemico”!
Quattro persone che vivono qualcosa di immaginabile fino a qualche tempo prima:Isaac, ebreo nell’Iran dopo la deposizione dello Scià, che viene accusato di essere una spia, incarcerato, torturato, che cerca di restare lucido e fiducioso pensando al passato e augurandosi un futuro.Farnaz, la moglie, incapace di reagire, ma paziente nell’attesa, anche quando scopre che la domestica che riteneva affezionata e fedele, le si rivolta contro adottando la nuova logica dell’ingiustizia sociale, sobillata dal figlio, fanatico assertore del nuovo regime..Shirin, ancora troppo piccola, ma capace di un gesto tanto ingenuo, quanto rischioso, volto a salvare altre persone.Ed infine Parviz, il figlio maggiore, mandato a studiare in America, dove conosce l’amarezza del profugo e dell’esule. Una famiglia distrutta, come troppo spesso accade, dalla follia della guerra.

domenica 12 settembre 2010

LA CONTESSA DI CASTIGLIONE


L'unica,
una statua di carne,
la donna che fece l'Italia,
La vulva d'oro del rinascimento
così veniva definita la marchesina
Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini, divenuta poi
LA CONTESSA DI CASTIGLIONE,
quando non ancora diciassettenne sposò il conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti,.
Soprannominata “Nicchia”(per via del suo modo di rannicchiarsi),Virginia era bellissima e intelligentissima: alta, bionda, occhi verdi profondi e vellutati, il viso di un ovale perfetto. Alla bellezza aggiungeva anche un fascino particolare, che manifestava con abiti audaci, strani, a volte spettacolari, che non indossava mai più di una volta. Adorava i colori lilla, indaco, malva e violetto.
Dopo il matrimonio, Virginia si trasferì da La Spezia (la città in cui viveva) a Torino e fece il suo debutto alla corte di Vittorio Emanuele di Savoia, che ne rimase ipnotizzato. Anche il cugino Camillo Benso, conte di Cavour, rimase profondamente colpito dalla sua bellezza, ma la vide principalmente come la possibile pedina del suo gioco politico, convincere Napoleone Bonaparte ad allearsi coi piemontesi nella guerra contro l'Austria.
Così, trasferitasi a Parigi, le bastò una notte d'amore per raggiungere l'obiettivo, visto che neppure Napoleone seppe resistere al suo fascino.
Ma bellezza, fascino non bastarono a salvarla. Il marito chiese ed ottenne il divorzio e morì in un tragico incidente; poi fu la volta del figlio George, di vajolo.
Vittorio Emanuele, divenuto re d'Italia, dopo un anno di relazione l'abbandonò senza mezzi, mettendo fine alla sua vita lussuosa.
E anche la sua bellezza cominciava a sentire il fluire del tempo, e a soli 33 anni cominciò la sua ossessione. Si stabilì a Parigi, in un ammezzato di Place Vendôme, fece coprire tutti gli specchi con panni neri, nascose anche il viso dietro un velo nero, non volle vedere più nessuno, morì sola e psicologicamente instabile il 28 novembre 1899.
È sepolta al cimitero del Père Lachaise, a Parigi, perchè anche le sue ultime volontà:
a) essere sepolta a La Spezia dove era vissuta,
b)con i suoi due cani imbalsamati,
c)col vestito e i gioielli della notte passata con Napoleone,
non furono rispettate.

giovedì 9 settembre 2010

ACQUA - BAPSI SIDHWA



Siamo in in India, nel 1938 .
Chuya è una bimba di 8 anni, ne aveva solo 6 quando è stata fidanzata a un uomo anziano e 7 quando si è sposata. Ma il marito è morto e lei, secondo l'antica consuetudine hindu, è stata condotta nell'ashram delle vedove dove dovrebbe vivere in penitenza sino al giorno della sua morte. Non può mangiare carne, non può indossare abiti colorati, solo quella tunica bianca, non può far crescere i capelli. È una donna non donna, e passato il primo momento di sbigottimento, nella piccola inizia a crescere la ribellione.
I suoi occhi vedono cose che non dovrebbero vedere, ingiustizie, violenze morali da parte delle vedove più anziane incattivite dalla giovinezza e dalla bellezze di altre sventurate.
E così, quando la sua amica Kalyani, una bellissima vedova costretta a prostituirsi, stringe una relazione clandestina e proibita con un giovane idealista gandhiano appartenente alla buona società indiana, è Chuya a guidare la rivolta nell'ashram delle vedove, permettendole di fuggire con l'amato. E anche per lei ci sarà un risvolto positivo.
Un libro bellissimo che squarcia i veli su barbari costumi di lontani paesi e sulla condizione della donna umiliata, maltrattata, considerata come una nullità.

lunedì 6 settembre 2010

Gli animali in poesia

IL GATTO

Vieni, bel gatto mio, qui sul mio cuore,
le tue unghie ritrai,
e lasciami tuffar negli occhi tuoi
d’agata e metallo.

Se le mie dita lisciano a piacere
il capo e il dorso elastico,
e la mano palpeggia con ebbrezza
tutto il tuo corpo elettrico,

io rivedo la mia donna. Lo sguardo
è il suo, bestiola amabile,
freddo e profondo incide come un dardo,
e, dal capo alle grinfie,
un’aura fine e un periglioso odore
sul bruno corpo aleggiano.

CHARLES BAUDELAIRE

giovedì 2 settembre 2010

LA POESIA DEL MESE

I PASTORI

Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natía
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.

Ah perché non son io co' miei pastori?

Gabriele D'Annunzio

domenica 29 agosto 2010

L'ALBERO DI GIUDA


Il SILIQUASTRO, meglio conosciuto come "ALBERO DI GIUDA", deve il nome volgare alla leggenda biblica secondo la quale l'apostolo Giuda Iscariota, tradì Gesù, consegnandolo al sinedrio in cambio di trenta monete d'argento. L'arresto di Gesù con la conseguente condanna, sconvolse l’apostolo che ritornò al tempio, restituì le trenta monete ai sommi sacerdoti, poi in preda al rimorso, si allontanò per impiccarsi ad uno di questi alberi.
La leggenda continua affermando che i fiori, che erano in origine bianchi, diventarono color porpora per la vergogna.

venerdì 27 agosto 2010

La Luna


Quando spunta la luna
tacciono le campane
e i sentieri sembrano
impenetrabili.

Quando spunta la luna
il mare copre la terra
e il cuore diventa
isola nell'infinito.

Federico Garcia Lorca

giovedì 26 agosto 2010

LA BALLATA DELL'ACQUA DI MARE



LA BALLATA DELL'ACQUA DI MARE


Il mare
sorride lontano.
Denti si spuma
labbra di cielo.

- Che cosa vendi, fosca fanciulla,
con i seni al vento ?
- Vendo, signore, l’acqua
dei mari.

- Che cos’hai, giovane negro
mescolato nel sangue ?
- Ho, signore, l’acqua
dei mari.

- Queste lacrime salmastre,
da dove vengono ?
- Vengono, signore, dall’acqua
dei mari.

- Cuore, questa amarezza
profonda, da dove nasce ?
- Dall’amara acqua
dei mari.

Il mare
sorride lontano.
Denti di spuma
labbra di cielo.

Federico García Lorca

mercoledì 25 agosto 2010

Il grillo parlante

molte volte vorrei spiccicarlo contro il muro, come Pinocchio!
È petulante, noioso, inopportuno e come in questo momento sta sghignazzando per il mio tentativo di aprire un blog.
Sì sghignazzando, ripetendo ahahaha partiamo da 0.. che fantasia!
Embè? E allora? Non sono partita da 0, forse?
E adesso sono a 1, quindi qualcosa sono riuscita a far signor rompiscatole....
e aggiungo che sto leggendo l'opera prima di uno scrittore esordiente: "La lavagna di Amerigo di Francesco Pomponio" , e ne parlerò non appena avrò finito.
Ed al mio eventuale, improbabile, unico lettore porgo un saluto rispettoso e gli do appuntamento alla prossima, sempre su questi schermi!

iniziamo da 0